my tescoma 1 / 2012

benessere

Finalmente giunto il momento di prendersi una pausa, un momento per rilassarsi e sgranchirsi le gambe... proprio il momento perfetto per un caff ! Ma cosa possiamo utilizzare per addolcire le nostre bevande preferite? Abbiamo chiesto il parere di un esperto, per fare chiarezza sui vari tipi di dolcificante e sulle caratteristiche che li contraddistinguono.

Per una dolce pausa...

In commercio e nei bar troviamo dolcificanti di ogni tipo, di origine naturale o artificiale, dietetici oppure ricchi di calorie: per capire quale scegliere, analizzeremo le caratteristi- che di ognuno. I dolcificanti si possono distinguere in naturali o artificiali, quelli più comunemente utilizzati sono il classico zucchero (raffinato o di canna), il miele, a volte il fruttosio e infine tutti i cosiddetti “dolcificanti ipocalorici” che utilizzano prevalentemente aspartame, saccarina e acesulfame. Ogni volta che dolcifichiamo una bevanda, beviamo o mangiamo qualcosa di dolce, dobbiamo sempre considerare le calorie che apportiamo alla nostra alimentazione e il possibile impatto sui livelli di glucosio ematico, cioè i livelli di zucchero presenti nel circolo san- guigno. Questi due fattori sono fondamentali, sia per il controllo del peso corporeo, sia perché livelli di zucchero nel sangue sempre alti possono predisporre a problematiche legate alla salute: dall’au- mento dei trigliceridi, alla possibilità di sviluppare resistenza all’insuli- na e quindi diabete, a problemi cardiovascolari. Non saranno certo due o tre caffè al giorno a produrre tutti que- sti possibili effetti negativi, ma piuttosto l’eccessivo consumo di alimenti e bevande troppo ricchi di zuccheri. Infatti, se è vero che gli zuccheri apportano energia, è altrettanto vero che i ritmi di vita moderni ne richiedono sempre meno, facendo sì che gli eccessi vengano convertiti in grasso corporeo, oppure che portino alle pro- blematiche appena viste. Vediamo ora alcune caratteristiche dei dolcificanti più comuni e di utilizzo quotidiano, sia calorici, sia a ridotto o nullo impatto calorico. Il primo da citare è sicuramente il saccarosio , il comune zucchero

da cucina: è il dolcificante “naturale” più utilizzato al mondo, deriva dall’unione di glucosio e fruttosio e il suo potere calorico è di 4 ca- lorie per ogni grammo. L’indice glicemico del saccarosio, cioè la

capacità di fare alzare i livelli di zuc- cheri nel sangue, è molto elevato, quindi il consumo eccessivo può portare a sbalzi insulinici, sovrap- peso, predisposizione al diabete e a svariate altre patologie, oltre ad aumentare il rischio di cadere nella trappola dell’obesità con tutte le conseguenze negative del caso

(livelli elevati di grassi nel sangue, insulino-resistenza, problemi car- diocircolatori, maggiore suscettibilità ad alcune forme tumorali). Il saccarosio viene impiegato, oltre che per l’azione dolcificante, an- che per le sue proprietà di fermentazione e di conservazione: i bat- teri non sopravvivono nell’ambiente acido creato dallo zucchero in alte concentrazioni. Sfatiamo ora uno dei “miti” che sento ancora molto spesso utiliz- zare, e cioè la presunta differenza fra lo zucchero bianco e quello “di canna”. Lo zucchero di canna che troviamo solitamente in commercio o nei bar subisce processi di lavorazione che lo privano di tutte le sue proprietà nutritive, rendendolo di fatto uguale a quello tradizionale, sia a livello calorico che di nutrienti. Discorso diverso invece se la lavorazione evita – in tutto o in parte - il processo di raffinazione chimica: in questo caso il succo estrat- to dalla barbabietola dà origine al cosiddetto zucchero integrale di canna che, rispetto a quello tradizionale, contiene una minore per- centuale di saccarosio, è più ricco di sali minerali e vitamine e ha

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