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I l campanile della cattedrale è annerito. Lo fissi dal basso. Sem- bra coperto di fuliggine. Quasi non potesse scrollarsi di dosso tutto il tempo e la storia. Eppu- re, incerti punti,s’intravede ancora l’ar- gilla chiara di cui è fatto. «È impolve- rato. Come noi». Krystyna parla della sua Polonia. È appena tornata dalla Giornata di inizio anno del movi- mento polacco. Insieme ad altri cin- quecento venuti da tutto il Paese, ha ascoltato la lezione di don Carrón proiettata a JasnaGóra.Ha sentitodire chenellavita si può«rimanere senzapa- role» davanti a un certomodo di sen- tire e di guardare l’umano e «dopodue giorni essersene già dimenticati», non pensarci più. «Eccola la Polonia», dice. Non avrebbe bisogno di aggiungere altro, lei: gli occhi azzurri fissi sulla cat- tedrale di Ś widnica, pensa alla storia grandiosadella suanazione.Nonèuna storia lontana. «Ma anche alla Polonia è accaduto di dimenticare. Eora di es- sere confusa».Amenodi trent’anni dal- l’agostodi Danzica, da quegli operai in ginocchio che incantarono l’Occiden- te assopito,dal sacrificiodellavitadi uo- mini che sgretolarono il regime co- munista, «oggi il nostro Paese è im- merso nella confusione». Krystyna è infreddolita nella foschia di questa piccola città verso il confine con laRepubblicaCeca.Parla della Po- lonia,maparladi sé.QuandodonGius- sani venne qui aOlsztyn,nel 1983,dis- se che il cristianesimo era a un livello «fisiologico». A lei, ragazza infuocata dalla liberazione, sembrarono parole scortesi, se non ingiuste. «Invece erano profetiche. Era come sentirsi dire che la vita può essere intrisa della fede,ma inmodo incosciente. Quasi meccani- co. Resopotentissimodalla reazione al regime». Krystyna è ancora stupita di comequel pretebrianzolo seppe vedere così lontano.Oforse vide inprofondità quel che c’era. «Lo vedeva meglio di tutti noi», sbottadon Józef Jo ń czyk sedendosi tra- felato in una taverna nel centro di »

Arrivo dei pellegrini a Cz stochowa, nel 1992.

NOVEMBRE 2009 67

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